New York - Quando molti anni fa il padre del giovane Ted seppe che il figlio aveva scelto un corso di studio di letteratura all’università, gli scrisse poche e cordiali righe, che cominciavano così: “Mio caro figliolo, sono sconvolto, direi inorridito, nel sapere che hai scelto i classici come materia principale, al punto che oggi ho quasi vomitato tornando a casa”. A Ted, però, studiare letteratura, insieme all’economia, non portò poi così male: ha vinto la Coppa America, fondato la Cnn e lasciato il segno nella storia dei media mondiali, della difesa dell’ambiente e della filantropia.
Non è la letteratura che fa diventare automaticamente Ted Turner, ma negli Stati Uniti, dopo un lungo periodo in cui gli studenti cercavano solo materie “che facevano lavorare” e guadagnare, c’è un ritorno agli studi umanistici. Alla Berkeley University, California, una delle più prestigiose d’America, il numero degli studenti che ha scelto materie come inglese, storia, lingue, filosofia e studio dei media, è cresciuto in un anno del 121 per cento.
Il numero dei diplomati che fanno richiesta di entrare a Berkeley per studiare materie umanistiche è cresciuto del 43,2 per cento rispetto a cinque anni fa, e del 73 per cento rispetto a dieci anni fa. Alla University of Arizona i laureati in storia e lingua sono aumentati di oltre il trenta per cento rispetto al 2016, e nuovi trend vengono registrati in altre facoltà d’eccellenza, come Arizona State University e University of Washington. Quello in atto potrebbe essere l’inizio di un cambiamento mentale nei giovani, e che potrebbe lentamente modificare, o forse restaurare, il tessuto sociale del Paese nei prossimi vent’anni, perché indicherebbe il ripudio di un approccio che, secondo molti osservatori, ha finito per privilegiare l’aspetto economico degli studi, accelerando il declino culturale, a vantaggio dell’affermazione di falsità e odio.
Non è che studiare Scott Fitzgerald o John Steinbeck renda buoni e illuminati, e immergersi nell’analisi delle tensioni sul credito bancario, trasformi in robot, però si sta diffondendo l’idea che una conoscenza umanistica aiuti ad allenare l’approfondimento dei concetti, non limitandosi all’aspetto utilitaristico. Conoscere la lingua e il pensiero filosofico fa uscire dalla “zona di comfort” di ognuno e porta a cercare di capire gli altri. “Nel minimizzare le materie umanistiche - ha spiegato il professor James Engell in un saggio pubblicato sulla rivista Harvard Magazine - si è arrivati a esacerbare il modo in cui la società affronta i problemi”.
“Senza una conoscenza del linguaggio - ha aggiunto - e con quella capacità di giudizio che le materie umanistiche trasmettono, è sempre più difficile cogliere la falsità e i contenuti divisivi di molti messaggi”. Considerato il dominio che i social hanno conquistato nella vita di ognuno, individuare il sottotesto di un post, o andare oltre il puro enunciato per porsi domande, rapprestano sistemi di difesa e sopravvivenza civile. Non è più solo un riannodare i fili con il passato, ma interpretare il presente.
A fine settembre dell’anno scorso il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo per promuovere le arti, le materie umanistiche, i servizi museali e le biblioteche. Per anni la maggior delle università ha tolto fondi a questo ramo dell’insegnamento, per destinare l’attenzione su corsi che portassero lavoro e alte retribuzioni. Ma gli ultimi tre anni, segnati da emergenza pandemica e tensioni sociali sfociate nell’assalto al Congresso, un momento drammatico della storia americana che ha portato alla ribalta persone incolte, complottiste e facilmente manipolabili, hanno insinuato un dubbio nelle università: non è che con il tecnicismo a tutti i costi abbiamo esagerato?